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domenica 22 giugno 2008

Sogni svaniti

Batterie o rumore, tetra voce e freddi ululati.
Dal mezzo riuscito Saturnalia dei Gutter Twins (Mark Lanegan e Greg Dulli) una perla fatta di ripetizione e di sogni svaniti. David Lynch sarebbe felice di metterla in suo film, magari sui titoli di coda. Il potere ipnotico di All Misery/Flowers è forte, la melodia velenosa e poetica cresce sempre di più. Immaginate di immaginare qualcosa al buio. Immaginate poi di non credere a quel che immaginate. Immaginate di non sapere dove siete ma di sapere il perchè. Di chiedervi il motivo di tutto quel buio e di chiedervi se c'è differenza tra buio e notte.

mercoledì 11 giugno 2008

Asprezza urgente

Sebbene molti dicano che siano il fenomeno in ambito pop-rock più pompato dai media inglesi del momento, questo non toglie niente alla bellezza delle canzoni dei Foals del loro album di debutto Antidotes. Olympic Airways è tra le altre una perfetta canzone pop, che ti fa muovere la testolina a ritmo. Molti dicono che I Foals cavalcano furbescamente una scia fortunata solcata prima di loro da Battles, !!!, Block party, Tv on the radio (uno di loro li ha prodotti) ma a me Foals piacciono di più dei Battles dei Block party etc etc o anche dei novelli These new puritans. Secondo me le ascendenze sono anche più ... più lontane. Anzitutto l’attitudine è punk, ma le nostre orecchie abituate a quelle sonorità non percepiscono più la trasgressività del genere, punk è soprattutto il modo di cantare, “a slogan” urlati, declamati, in alcuni episodi del disco rotti da quella specie di iodel disperato alla Lydon. La musica è ricca e composta da strati soprattutto fatti di chitarre sovrapposte eppure precisamente incastrate tra loro in una poliritmia che ricorda molto funk e r n’b e pertanto i Talking heads dei dischi africani. Ed infine spesso le chitarre s’incantano ripetendo in loop lo stesso riff, e questo crea una sospensione in contrasto con la frenesia dei ritmi e degli arpeggi come succede nella musica minimalista.
Ma è l’immediatezza delle canzoni,
le giovani asprezze della linfa che stillano, la necessità di un'urgenza espressiva, la potenza compatta delle loro perfomances dal vivo a rendere questo esordio davvero imperdibile.





domenica 8 giugno 2008

Le luci di una centrale


Ti affacci alla finestra e vedi svettare una gigantesca scritta COOP. Conti correnti con nomi finti, parchimetri, centri commerciali, tetti di eternit, ecomostri, benzinai, sistemi di allarme che non fanno feriti, fanali accesi per investirci. Non hai paura, sei arrabbiato ma non sai con chi.
E' una generazione perduta quella del nuovo secolo, senza guerre ne' nemici apparenti.
Senza speranza, rabbiosa, ruvida e con un grande deserto davanti agli occhi, solo qualche fanale di auto che sfreccia. I CCCP non ci sono più da un pezzo ma la scritta COOP è rimasta, sempre più gigantesca. E allora andiamo a vedere le agghiaccianti luci della centrale elettrica, questo è il miglior spettacolo che ci viene offerto.
Affinità ardite. Quando ho sentito cantare "tu avevi i vestiti adatti per le tue guerre stellari" con quella rabbia sotterranea, ho pensato alla "Domenica delle Salme" di De Andrè con quel "voi avevate voci potenti, lingue allenate per battere il tamburo, voi avevate voci potenti, adatte per il vaffanculo". E qui la lingua batte il tamburo, con rabbia. Pensi a De Andrè, a Rino Gaetano, o a nessuno.
Forse il miglior debutto cantautorale nella musica italiana degli ultimi dieci anni. Acerbo com'è giusto che sia, fuori dagli schemi, testi frammentati da schivare o da catturare.

Le Luci della Centrale Elettrica - La Gigantesca Scritta Coop
(da "Canzoni da spiaggia deturpata")

La puoi ascoltare qui:
http://www.lastfm.it/music/Le+Luci+Della+Centrale+Elettrica/_/La+gigantesca+scritta+coop
Ascoltare anche:
Piromani - http://www.myspace.com/lelucidellacentraleelettrica

domenica 1 giugno 2008

A coloro che sono caduti dopo la gloria

Ci vuole un coraggio bestiale a mettersi di nuovo in gioco, dopo avere pubblicato un album come Dummy che forse si può considerare il più importante cd degli anni novanta, dopo il successo planetario del loro tour. Dopo le depressioni che ne conseguono, dopo i viaggi durati 10 anni in terre lontane. Ci vuole un lavoro profondo su se stessi per convincersi a liberarsi dall’ossessione di ripetere lo stesso successo di Glory box.
Siamo contenti che i Portishead ci siano riusciti, e a 11 anni di distanza dal loro secondo album in studio abbiano deciso di regalarci “Third”. Album non facile da decifrare e proprio per questo sorprendente, in cui i nostri sono riconoscibilissimi ma al tempo stesso molto cambiati, come se la loro evoluzione fosse continuata in tutti questi anni ma noi non ne abbiamo conosciuto le tappe intermedie. Sono venute fuori dal tunnel queste tracce in cui Beth Gibson continua a cantare le sue melodie grondanti dolore, con quella voce al limite tra l’implorazione e il sussurro, ma le basi sono più scarne, le canzoni hanno gettato via tutti gli orpelli cinematografici e stilosi e sono approdate ad un essenza spiglosa, fatta soprattutto di ritmi duri, ripetitivi, dal sapore industrial. Difficile estrarre una traccia da quest’opera così varia e nuova e a tratti ostica, ma vado sul facile: un singolo è il brano più immediato, magari che avvicina chi non conosce il genere. Magic doors è perfetta per questo, la struttura è in sintonia con il resto del CD, il testo suggerisce la confessione di un addio o di un tradimento, i barriti finali, un altro piccolo dono, sembrano qualcosa che viene da lontano, quasi perfette trombe tenute costrette dai lontani anni ottanta in qualche dove e all’improvviso riemerse in questa disperata esplosione che poi si riorganizza lanciando un appoggio per il ritornello finale.

La puoi ascoltare qui http://it.youtube.com/watch?v=iRANMwVvKTE&feature=related