
Siamo contenti che i Portishead ci siano riusciti, e a 11 anni di distanza dal loro secondo album in studio abbiano deciso di regalarci “Third”. Album non facile da decifrare e proprio per questo sorprendente, in cui i nostri sono riconoscibilissimi ma al tempo stesso molto cambiati, come se la loro evoluzione fosse continuata in tutti questi anni ma noi non ne abbiamo conosciuto le tappe intermedie. Sono venute fuori dal tunnel queste tracce in cui Beth Gibson continua a cantare le sue melodie grondanti dolore, con quella voce al limite tra l’implorazione e il sussurro, ma le basi sono più scarne, le canzoni hanno gettato via tutti gli orpelli cinematografici e stilosi e sono approdate ad un essenza spiglosa, fatta soprattutto di ritmi duri, ripetitivi, dal sapore industrial. Difficile estrarre una traccia da quest’opera così varia e nuova e a tratti ostica, ma vado sul facile: un singolo è il brano più immediato, magari che avvicina chi non conosce il genere. Magic doors è perfetta per questo, la struttura è in sintonia con il resto del CD, il testo suggerisce la confessione di un addio o di un tradimento, i barriti finali, un altro piccolo dono, sembrano qualcosa che viene da lontano, quasi perfette trombe tenute costrette dai lontani anni ottanta in qualche dove e all’improvviso riemerse in questa disperata esplosione che poi si riorganizza lanciando un appoggio per il ritornello finale.
La puoi ascoltare qui http://it.youtube.com/watch?v=iRANMwVvKTE&feature=related
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